Fossoli, settant’anni dopo: da campo di concentramento a campo di concentrazione, di silenzio e di ascolto
15 anni di storia riattualizzati da Cooperativa Edile Artigiana. Uno sguardo al passato per riflettere sul presente e ispirare il futuro
Fossoli è stato intonaco, mattoni, filo spinato, recinzioni, torrette: uno spazio dove i limiti erano posti dall’uomo contro l’uomo.
Settant’anni dopo Fossoli non è più campo di prigionia, di concentramento, ma campo di concentrazione, luogo di silenzio e ascolto. Ci piace pensare che la memoria sia gesto più che insieme di parole. E allora, non potendolo fare fisicamente, si varchi con la mente il cancello di questi 15 ettari da poco riattualizzati. Ci lasciamo suggestionare da tre immagini, tre spiragli sulla lunga e complessa storia del campo.
La prima è una fotografia in bianco e nero: alcuni ragazzi su un palcoscenico all’aperto. Tre di loro si fingono soubrettes, indossano sorridendo costumi da donna. Un altro, a sinistra, si avvolge in una coperta, a mo’ di antico romano in toga. In basso i musicisti: fisarmoniche, tromba e sax.
È forse l’estate del 1942 e tutti quei giovani attori in posa sono inglesi, australiani e neozelandesi. Nel Campo per prigionieri di guerra n. 73 (il campo di Fossoli nasce con questo nome) sono infatti internati i soldati Alleati arrestati sul fronte africano. Ma tutto sommato non se la passano male: dormono in baracche in muratura e le guardie fasciste permettono sia match di football che di pugilato. Una volta a settimana, poi, i reclusi possono comprare meloni nelle case coloniche più vicine al recinto o scambiare cioccolato per altro cibo. A visitarli vengono persino un prete cattolico e uno anglicano.
La seconda immagine è un ritratto a carboncino: capelli a spazzola, sguardo duro alla Daniel Craig; sulla blusa il triangolo rosso dei detenuti politici. Leopoldo Gasparotto ha 42 anni quando giunge a Fossoli (ora in mano ai tedeschi che lo hanno trasformato in luogo di transito per i deportati diretti nei lager del Reich). Il nonno è un eroe del Risorgimento; il padre, dopo aver combattuto in trincea, farà carriera in politica. La stoffa del figlio (“Poldo”) non è da meno: ossessionato dall’alpinismo, nel ‘29 compie con un pugno di amici l’ascesa e la discesa in sci della cima più alta d’Europa: sono i primi a farcela, è un successo mondiale. È uno tosto, Poldo: odia il fascismo ed è membro attivo della resistenza milanese, ma viene arrestato con l’inganno finendo prima in carcere e poi a Fossoli. Qui comincia a tenere un diario su cui annota impressioni ed episodi della vita in detenzione. Il 22 giugno 1944 viene prelevato con una scusa e fucilato lontano dal campo perché punto di riferimento dei compagni, di cui si teme un’evasione. Il diario, passato indenne per varie mani, sarà consegnato alla famiglia poco tempo dopo. Nel 2007 la pubblicazione.
Anche l’ultima immagine è una fotografia, ma non esiste né esisterà mai. La sta scattando un bambino sorridente, indici e pollici di entrambe le mani uniti come a creare una finestrella. Nel mirino un prete in maniche di camicia: si chiama don Zeno e pochi giorni prima ha occupato l’ex campo (siamo nel 1947) con l’aiuto degli orfani di cui si prende cura. L’abbattimento di muri e reticolati viene addirittura filmato da due cineprese dello stesso don Zeno. «Non voleva creare un orfanotrofio, ma un popolo», dirà poi qualcuno. Ed è vero: a Fossoli vengono costruite aule scolastiche, un emporio e persino una sala cinema. Nomaldefia, “dove la fratellanza è legge”, nasce così. Al governo però non va giù il colpo di mano di questo prete rivoluzionario e dopo soli cinque anni sgombera la comunità (che però si riorganizzerà in Toscana dove esiste tuttora).
Ogni anno quasi 30.000 persone entrano a Fossoli da visitatori.
Tu entraci da pellegrino.
A cura di Emanuele Marazzini
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